Intervista al giornalista Michele Giorgio* sul conflitto israelo-palestinese di Alba Vastano** -
Alba Vastano: Prima di entrare nel tema dell’intervista, possiamo fornire ai lettori brevi informazioni su come è avvenuto che la tua storia professionale si è intrecciata con la storia della Palestina?
Michele Giorgio: Mi sono recato a Gerusalemme per motivi di lavoro, per qualche periodo alla fine del 1989 per conto di un agenzia di stampa. Nel periodo successivo sono andato e tornato varie volte. Vivevo tra Roma e Gerusalemme. Un momento importante è stato nel periodo della guerra del Golfo del ‘91quando sono venuto qui per scoprire quello che accadeva nei territori occupati palestinesi e in Israele durante quella guerra. Poi ho cominciato a collaborare con “il Manifesto”. Sono diventato poi il corrispondente da Gerusalemme. Ho effettuato vari viaggi di lavoro per “il Manifesto” in vari paesi del Medio oriente, nel Nord Africa e in Asia centrale. Nel 2021 ho fondato con altri colleghi una rivista che si chiama “Pagine esteri.it”, rivista di approfondimento politico e culturale sugli Esteri.
AV: Su quanto accaduto il 7 ottobre i media continuano a ribadire che la scintilla che ha scatenato il conflitto con Israele l’ha accesa Hamas con l’attentato definito di matrice terroristica. Qual è la tua opinione, ma soprattutto, qual è la verità sul conflitto in corso e sulle dinamiche dell’escalation?
MG: Sicuramente a Gaza è avvenuta una grossa rappresaglia, da parte di Israele, che ha causato la morte di molti civili innocenti. Non lo affermo sulla base di un mio convincimento personale, ma sulla base di quello che sono le notizie, soprattutto sulla base di quello che riferiscono le agenzie umanitarie più importanti. Su quello che riferiscono i giornalisti palestinesi che sono i nostri occhi, le nostre orecchie a Gaza. Se noi giornalisti stranieri siamo riusciti a raccontare un po’ quello che è avvenuto a Gaza, riguardo gli attacchi israeliani, lo dobbiamo a tanti colleghi palestinesi che, a costo della loro vita, ci hanno riferito le cose. Non dimentichiamo che oltre 40 operatori dell’informazione palestinesi che ci hanno passato le informazioni sono stati uccisi dai bombardamenti e in altre situazioni sono morti con le loro famiglie.
Alcuni hanno perduto le loro famiglie mentre erano fuori al lavoro. Situazioni drammatiche che hanno riguardato tutti gli abitanti di Gaza. Quei pochissimi privilegiati, più benestanti di altri, anche quelli sono stati prigionieri sotto le bombe. Tutti hanno subito una vendetta per quello che è stato l’attacco di Hamas il 7 ottobre che, sappiamo, ha provocato 1200 morti fra civili e soldati israeliani. Sicuramente qualcosa di gravissimo, non ho problemi a dirlo, soprattutto ne hanno pagato le conseguenze anche civili inermi. Allo stesso tempo, però, quest’azione di Hamas è stata fatta pagare a tuta la popolazione di Gaza. Due milioni e 300 mila persone. Fra le vittime, non lo dimentichiamo, ci sono migliaia di bambini. Questa rappresaglia sanguinosa è stata avallata dai governi occidentali e dagli Stati Uniti che hanno dato la loro benedizione a Israele. La mia posizione si avvicina tantissimo a ciò che ha detto il segretario delle nazioni unite Guterres e cioè che l’attacco di Hamas non è venuto dal nulla. Credo che tutte le parti coinvolte in un conflitto debbano rispettare il diritto umanitario, debbano rispettare le persone innocenti e non debbano lasciarsi andare ad azioni di violenza indiscriminata contro persone innocenti.
Quello che è accaduto va contestualizzato. Non si giustificano le violenze indiscriminate, come dicevo, ma neanche che questo conflitto vada avanti da decenni e che non sia mai stato risolto, soprattutto sulla base del diritto internazionale che sancisce in modo chiarissimo quelli che sono i diritti del popolo palestinese sistematicamente negati da decenni. Dal 2009 a oggi c’è stata da parte del governo di Netanyahu una ferma e chiara decisione di ignorare i diritti dei Palestinesi e marginalizzare, addirittura descrivendola come una organizzazione terroristica, l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen. Io personalmente non sono un tifoso dell’Autorità nazionale palestinese, perché credo che sia ormai superata ed è largamente contestata dalla popolazione palestinese, quindi Abu Mazen dovrebbe farsi da parte e l’Autorità nazionale chiudere i battenti, perché è solo uno strumento nelle mani dell’Occidente e di Israele. Però detto questo è l’unica forza che poteva parlare con Israele che l’ha sistematicamente ignorata, indebolita, descritta come un’organizzazione terroristica. Cosa che fa anche un po’ ridere, considerando che l’Autorità nazionale palestinese mantiene un coordinamento di sicurezza con l’intelligence israeliana. Su quanto sta accadendo la verità è che Israele non ha voluto mai riconoscere i diritti del popolo palestinese non solo nel creare uno Stato indipendente, ma nell’ambito del settore della politica i Palestinesi vengono considerati degli ospiti di un territorio al quale appartengono storicamente e presenze sgradite che usano la violenza e quindi vanno cacciati via, come accaduto nel 48 con la Nakba.
AV: Hamas oggi quanto consenso politico ha nel popolo palestinese?
MG: In questo momento è popolarissimo. Questo non significa che la gente sia favorevole agli spargimenti di sangue, semplicemente si pensa che c’è una prova di forza e Hamas sta facendo la sua parte, quindi Hamas ha un forte prestigio in questo momento. Prima del 7 ottobre, Hamas aveva un po’ meno consenso all’interno della Striscia di Gaza, perché a Gaza governava e come tutti i governi è soggetto alle contestazioni della gente, ovviamente.
AV: “Ѐ chiaro che Israele si sta impegnando in un genocidio del popolo palestinese..dando ai suoi soldati il via libera per uccidere chiunque incontrino a Gaza”. Lo scrive su Al Jazeera il sociologo Muhannad Ayyash. Corrisponde agli obiettivi di Netanyahu o cos’altro? Il premier israeliano sta tentando di prolungare il conflitto per interessi politici personali, perché sa che, finito il conflitto si dovrà dimettere o ha unicamente il progetto di distruggere Gaza e il popolo palestinese?
MG: Una cosa che Netanyahu ha pensato, al di là della rappresaglia sanguinosa, è quello di buttare fuori tutti da Gaza. Credo che siano stati fatti dei ragionamenti con le forze politiche israeliane in proposito. Una ministra dell’intelligence ha preparato un documento in cui, nei primi giorni di guerra, si proponeva che tutti i Palestinesi andassero fuori dalla loro terra. Una seconda Nakba che è stata evitata perché si sono opposti, per ora, il presidente egiziano Al-Sisi e Abd Allah II, il re di Giordania. Non per amore dei Palestinesi, ma perché hanno intuito che sarebbero stati i loro Paesi a pagarne le conseguenze e a doversi accollare milioni di Palestinesi.
C’è da dire che anche gli Americani hanno dovuto fermare Israele, quindi questa seconda Nakba non c’è stata. Altra cosa che, al 99%, Netanyahu ha pensato è che questa guerra dovesse mettere fine anche alle ambizioni politiche dei Palestinesi, ambizioni legittime fondate sul diritto internazionale, ma bisognava negare tutto quello che i Palestinesi avevano cercato di costruire in termini di consenso internazionale, quindi palestinesi descritti come Isis, come terroristi, tutti, non quelli che hanno compiuto delle atrocità, ma tutti, anche i bambini di tre anni, in modo che non potessero mai più reclamare i loro diritti sulla loro terra. Questo è sicuramente avvenuto perché Netanyahu, quando gli Americani stessi hanno detto e continuano a dire che vedrebbero l’Autorità nazionale di Abu Mazen al posto di Hamas a Gaza, ha rifiutato rispondendo che sono amici dei terroristi. C’è evidentemente un disegno politico ad annullare il diritto dei Palestinesi a costruire un proprio Stato indipendente.
AV.:Come si vive oggi ad Israele, mentre è in atto la rappresaglia sulla Palestina per ordine del primo ministro. Netanyahu quanto consenso ha oggi da parte del suo popolo?
MG.: Nessuno, gli Israeliani si sono uniti fra di loro, quindi chi contestava la riforma della giustizia, chi la sosteneva, democratici, non democratici, oggi sono tutti insieme con un unico obiettivo, cioè fare la guerra a Gaza e distruggere Hamas, anche se questo sta comportando stragi di innocenti palestinesi. Su questo c’è un consenso larghissimo, ma c’è anche un altro consenso: mandare a casa Netanyahu. Tutti dicono: “ adesso c’è la guerra bisogna vincerla, ma quando finirà la guerra Netanyahu si deve dimettere”. Ed è probabile che la carriera politica di Netanyahu sia davvero sia finita, perché tutti i sondaggi, anche se lui, politicamente, è un gatto dalle sette vite e riuscirà a recuperare simpatie, vincendo la guerra. Ci saranno le elezioni dopo la guerra andrà a casa, perché pochissimi lo voteranno. Molto probabile che andrà così.
AV: Quanto ha influito sul mancato riconoscimento dello Stato palestinese il fallimento degli accordi di Oslo che hanno riconosciuto l’Autorità nazionale palestinese. L’assassinio di Rabin da parte dell’estrema destra sionista ha a che vedere con il fallimento degli accordi?
MG: Molti pensano che gli accordi di Oslo siano falliti con l’assassinio di Rabin. Io ho un’idea diversa, penso che il fallimento fosse già nella firma stessa degli accordi, proprio perché non hanno mai visto Israele riconoscere lo stato di Palestina. Israele ha sempre detto nei negoziati ‘Facciamo degli accordi temporanei, poi vediamo..’. Poi è scoppiata l’Intifada, l’Olp di Arafat ha riconosciuto lo Stato di Israele con una riunione del Consiglio nazionale palestinese, mentre Israele non ha mai riconosciuto lo stato della Palestina, cioè il fatto che al termine dei negoziati dovesse nascere uno Stato palestinese. Per questo motivo gli accordi di Oslo erano già destinati a fallire e il fatto che Rabin sia stato assassinato è un fatto che ha colpito molto gli Israeliani, ma che, a mio avviso, rientrava all’interno di quello che era l’attacco che la destra allora, quella dei coloni, la più religiosa, portava agli accordi. Questa destra che ha assassinato Rabin è poi quella che oggi è al potere in maniera molto più potente, molto più forte, maggioritaria nel paese, di orientamento fortemente religioso e quindi questi accordi di Oslo, ahimè, sopravvivono con grandissimo danno per i Palestinesi naturalmente.
Per gli Israeliani è completamente diverso. Gli accordi di Oslo, per esempio, hanno consentito proprio in questi giorni, all’esercito israeliano di chiudere le città palestinesi. E questo dimostra quanto gli accordi di Oslo fossero sbagliati nella loro concezione, perché non attivano l’idea di riconoscere due Stati , Israele e Palestina. Purtroppo abbiamo l’Unione Europea, vari paesi e gli Stati Uniti che continuano a ripetere soluzione a due stati, quando tutti sanno che la soluzione a due Stati, trent’anni dopo, non è praticamente realizzabile, perché Israele ha talmente cambiato il territorio con le sue colonie, con le sue politiche, che nascerebbe uno Stato palestinese fantoccio. Uno staterello senza sovranità, su qualche macchia dei territori occupati, ma che non risolverebbe mai il conflitto, perché il conflitto va risolto solo ed esclusivamente sulla base dei diritti dei popoli e del diritto internazionale
AV: Quale parte sta interpretando oggi Biden nei confronti del conflitto israelo-palestinese? Continua a sostenere Israele, e quindi nulla è cambiato o si sta giocando le sue carte di uomo di pace per le prossime elezioni? Quale dialettica intercorre oggi fra Usa e Israele?
MG: Intercorre la dialettica di sempre, cioè appoggio più o meno incondizionato alle politiche di Israele. Se non fosse così gli Stati Uniti si sarebbero opposti a questo massacro di Palestinesi nella Striscia di Gaza, perché sapevano che Israele avrebbe reagito con forza militare eccezionale, invece dal 7 Ottobre a oggi gli Stati Uniti non hanno mai detto: “Andiamo ad un cessate il fuoco immediato e tentiamo di risolvere il conflitto sulla base di una trattativa, di qualcosa di politico”. Quindi, d questo punto di visto non è cambiato nulla. Gli Stati Uniti stanno anche fornendo le bombe e gli armamenti. Hanno promesso 14 miliardi di dollari di aiuti ad Israele. Più aiuto ad Israele di così credo che non vi sia.
Ѐ chiaro che Biden ha anche bisogno di salvaguardare la sua immagine. Gli Stati Uniti e Biden devono considerare anche che un parte dell’opinione pubblica americana è scioccata da quello che sta avvenendo a Gaza e così anche nell’Occidente, oltre che nel resto del mondo. E quindi adottano queste posizioni di oggi in cui dicono ad Israele: ‘Fate la pausa umanitaria, fermatevi un attimo. C’è l’Autorità nazionale palestinese che dovrà governare’ Netanyahu risponde che non la vuole. Biden risponde che dovrà accettarla. In realtà è tutta apparenza, è tutto make-up, perché poi conta la sostanza come in tutte le cose, come nella politica. E la politica ci dice che c’è stata una decisione da parte di Biden di sostenere e di continuare a sostenere questa offensiva militare, nonostante le sue gravissime conseguenze.
AV: Guterres invoca il cessate il fuoco e afferma che “gli attacchi spaventosi di Hamas non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. Gilad ne chiede le dimissioni. Anche l’Onu ha perso di credibilità?
MG: No, l’Onu non è che non ha più credibilità, perché non riesce a risolvere i conflitti. L’Onu non li risolve mai i conflitti. Non è colpa dell’Onu, è come è stata concepita. Il fatto che alcuni Paesi abbiano un diritto di veto e quindi con il loro veto possano bloccare determinate azioni ha fatto sì che l’Onu sia intervenuta con le sue risoluzioni solo per condannare i nemici degli Stati Uniti. Diciamo che le Nazioni Unite non hanno credibilità, perché sono controllate anche dagli Stati Uniti d’America, però sono allo stesso tempo credibili e, secondo me, vanno sostenute quando dicono che a Gaza sta avvenendo un massacro. Però le parole dei funzionari delle Nazioni Unite, di Guterres, non hanno peso, perché alla fine decide Washington. La Casa bianca ha deciso che questa guerra deve andare avanti e tutti gli alleati della Nato e del nostro governo italiano hanno deciso che bisogna continuare, che si manderà qualche aiuto umanitario e così si lavano la coscienza.
AV: Al termine del conflitto in corso Netanyahu sarà un “politico out”, finito ?
MG: A maggior ragione adesso, Netanyahu, come dicevamo prima è finito, perché non lo vogliono gli Israeliani, ma nella comunità internazionale non credo che abbia difficoltà. Certo avrà qualche problema in più con Biden, nonostante Biden dica che sia un suo grande amico. Certo con gli Stati Uniti ha un’interlocuzione più difficile, rispetto a quella che ha con il governo italiano di destra, mentre con gli Americani ha una posizione diversa. Anche perché Biden vorrebbe delle soluzioni che salvassero la sua faccia e quella degli States.
AV: Quali possibilità ci sono perché il conflitto abbia termine e la Palestina abbia finalmente il riconoscimento che gli spetta dal 1906 e diventi uno Stato autonomo?
MG: Ho sempre pensato che il conflitto in corso è tutta responsabilità dell’Occidente, dei paesi europei, perché questa questione può essere risolta applicando le risoluzioni internazionali. La Palestina esiste, è stata votata e accettata dalla maggior parte del mondo. L’opinione pubblica riconosce il diritto dei Palestinesi ad essere liberi, a poter decidere della loro vita senza più l’occupazione. Invece i governi occidentali e gli Stati uniti continuano da decenni ad impedire che il diritto internazionale dei diritti dei popoli vengano applicati anche in Medio Oriente e anche nella questione palestinese, per ragioni di alleanza militare, politica e ideologica con Israele. Questo è l’unico motivo per cui questa storia non si chiude e non si chiuderà mai fino a quando l’Occidente non deciderà di adottare delle politiche fondate sul diritto internazionale che obblighino Israele a dare la libertà ai Palestinesi. Questa è l’unica spiegazione che io ho, diversamente non saprei come si potrebbe risolvere questo conflitto
* Michele Giorgio, giornalista, da anni vive in Medio oriente da dove è corrispondente del quotidiano “il manifesto”. Per Alegre ha pubblicato nel 2012 “Nel baratro. I Palestinesi, l’occupazione israeliana, il Muro, il sequestro Arrigoni” e nel 2017, insieme a Chiara Cruciati, “Cinquant’anni dopo”. Nel 2018 “Israele, mito e realtà” con Chiara Cruciati, ed. Alegre.
* Alba Vastano, docente in pensione. Giornalista iscritta all’Odg Lazio. Militante del Prc. Vive a Roma. Ha collaborato a “Liberazione”, “La città futura”, “Contro la crisi”. Attualmente collaboro alla rivista “Lavoro e salute” ( supplemento mensile di “Medicina democratica”).